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martes, 12 de mayo de 2015

Tinkunaco 0664/15 - La storia Angelelli, pastore coraggioso di una Chiesa perseguitata

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Stefania Falasca 

La storia
Anno Domini 2015. Ex parte Sancta Sedis nihil obstat. Non c’è più nessun ostacolo. A trentanove anni dalla morte si apre adesso ufficialmente la via degli altari per un’altra significativa figura di vescovo testimone della Chiesa del Concilio: il presule argentino Enrique Angelelli, vescovo di La Rioja, assassinato il 4 agosto 1976 durante la dittatura militare di Videla. La Santa Sede ha concesso il nulla osta il 21 aprile scorso. La richiesta formale per l’introduzione della causa di canonizzazione per martirio in odium fidei di Angelelli era stata inoltrata dall’attuale vescovo della diocesi di La Rioja appena quattro mesi prima, il 7 gennaio.

Un tempo breve per il placet all’avvio della causa, soprattutto se paragonato al ritardo di quasi quarant’anni per l’esito dell’accertamento sulla verità della morte del vescovo, condotto nella causa penale avviata dal tribunale di La Rioja e oggetto di numerosi ostacoli, depistaggi e continui tentativi di insabbiamento. Solamente il 4 luglio dello scorso anno l’indagine giudiziaria ha stabilito che la morte di Angelelli non fu causata da un «tragico incidente stradale» – secondo la versione pubblicamente sostenuta all’inizio anche da certi settori della Chiesa – ma da «omicidio premeditato ed eseguito nella cornice del terrorismo di Stato» e ha condannato all’ergastolo due ex militari, stretti collaboratori del generale Videla, riconosciuti quali mandanti. Una verità sulla quale hanno certamente contribuito a far piena luce anche le carte richieste al Vaticano dall’attuale vescovo di La Rioja, Marcelo Daniel Colombo, consegnate al tribunale.

Come ha affermato lo stesso presule, le carte «evidenziano chiaramente i termini dello stato di persecuzione che viveva la Chiesa di La Rioja e le minacce di morte ricevute da Angelelli» e in seguito alla sentenza sul caso, il presule si è così espresso: «Oggi non ci sono più dubbi sul fatto che questa Chiesa particolare ha vissuto una persecuzione molto forte che si è portata via la vita del vescovo insieme a quella di altri sacerdoti e laici. Come si dice: non c’è cieco peggiore di chi non vuol vedere. Se ci sono ancora, fuori e dentro la Chiesa, persone che non vogliono vedere nella vita e nella morte di monsignor Angelelli un segno eroico ed eloquente di Dio verso il suo popolo, preghiamo per loro».

Enrique Angelelli è il primo vescovo assassinato dalle dittature latinoamericane. La sua vicenda s'inserisce nelle violente persecuzioni subite dalla Chiesa dell'America latina negli anni Settanta-Ottanta. Angelelli, come Romero e altri vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, che hanno conformato la loro fisionomia sul modello e sulle esigenze del Vangelo, del Concilio e del magistero, sotto la falsa accusa di fare politica e di comunismo, sono stati messi a morte da sistemi dittatoriali formati da uomini che si professavano cattolici e che vedevano in questi testimoni ostacoli per il perseguimento degli interessi «dell’ordine sociale occidentale». Così mentre era nota in Europa la persecuzione operata nei mattatoi dei regimi totalitari atei, quella in atto in America latina, compiuta in nome dello stesso Dio, veniva occultata dagli sperimentati metodi della diffamazione e della calunnia.
Figlio di immigrati italiani, Angelelli aveva partecipato al Concilio ed era stato scelto da Paolo VI come vescovo di La Rioja, una delle diocesi più povere dell’Argentina.

Fu uno dei vescovi che insieme ai padri Lucio Gera e Rafael Tello presiedettero alla commissione da cui nacque la teologia del popolo. Bergoglio lo aveva conosciuto fin da quando era rettore del Collegio San Miguel. Angelelli aveva inviato sotto la sua protezione alcuni dei suoi seminaristi. Bergoglio visitò la Rioja la prima volta il 13 giugno 1973, insieme ad altri consultori della Compagnia per un ritiro spirituale, durante il quale si verificò un attacco di un sedicente gruppo di «Cruzados de la Fe», organizzato dai proprietari terrieri. Vi ritornò due mesi più tardi, il 14 agosto 1973, come provinciale dei gesuiti, accompagnando nella visita il generale della Compagnia di Gesù, padre Arrupe, preoccupato per le aggressioni in quella diocesi a religiosi e laici. Il 4 agosto 2006, in occasione del trentesimo anniversario della morte di Angelelli, come arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio tenne a La Rioja una partecipata celebrazione eucaristica.

Nell’omelia ricordò gli «indimenticabili giorni trascorsi a La Rioja». Parlò del profondo legame di amore che univa il vescovo con il suo popolo citando la Lumen Gentium e si riferì ad Angelelli come «un pastore innamorato della sua gente che lo accompagnava nel cammino, fin nelle periferie, geografiche ed esistenziali». «Vedemmo» disse «il dialogo di un laicato vivo, forte con il suo pastore». Ricordò un’incontro durante la visita del padre Arrupe con tutti gli agenti pastorali che raccontarono la loro situazione, nel corso del quale «una donna riojana, che portava avanti le cose di Dio con vero coraggio, domandò: “Ci dica padre, questo che lei ha ascoltato qui è il Concilio Vaticano o non lo è?” E il padre Arrupe rispose: “Questo è quello che vuole la Chiesa del Vaticano II”». «Furono giorni in cui ricevemmo la saggezza di un pastore che dialogava con il suo popolo» e «vedemmo lo scherno che questo popolo e questo pastore ricevevano, semplicemente per seguire il Vangelo… uomini e donne liberi da compromessi, ambizioni, ideologie, per quali il Vangelo era il commento della propria vita. M’incontrai con una Chiesa perseguitata, interamente, popolo e pastore» disse. Paragonò le sofferenze patite dal vescovo e dal «santo popolo fedele di Dio» con quelle patite da San Paolo a Filippi «per mezzo degli sperimentati metodi della disinformazione, diffamazione, calunnia». Affermò che il vescovo «è stato testimone della fede versando il suo sangue», citando la frase dei primi cristiani: «Sangue dei martiri, sementi di cristiani» e aggiungendo: «Se qualcuno festeggiò la sua morte credendo fosse un trionfo, questa fu la sconfitta dei suoi avversari».

Anche se non esplicitamente nominato, l’esempio del vescovo di La Rioja è tenuto presente nell’Evangelii Gaudium. «Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo» scrive papa Francesco al punto 154 evocando il detto proprio di monsignor Angelelli: «Un orecchio al Vangelo e l’altro al popolo».

La figura di Enrique Angelelli è certamente una delle più interessanti per comprendere a fondo cosa significa una «Chiesa in uscita» alla luce del Vaticano II. E la sua emblematica figura di vescovo in ascolto amoroso e in servizio totale del popolo di Dio, che sempre profondamente cerca di essere «pastore con l’odore delle pecore», è più che mai attuale per tutta la Chiesa.

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